LA COMUNICAZIONE TRA GENITORI E FIGLI

Lo psicoterapeuta Haim G. Ginott 21 pensa che è la mancanza di comunicazione fra genitori e figli a provocare queste crisi. Imparando a comunicare è possibile evitarle. Troppo spesso i genitori non sanno parlare con i loro figli. Appena il ragazzo ritorna dalla scuola, sua madre l’interroga: «Cosa hai fatto a scuola? Sei stato bravo? Hai eseguito bene il tuo tema? La tua recita? » ecc.. Il bambino arriva a casa per distendersi, non per passare in rassegna tutte le materie difficili in cui forse non si è sentito troppo brillante.
O mentirà sostenendo che è andato tutto bene, o dirà la verità, cosa che provocherà quasi certamente una predica noiosa e, a suo parere, fuor di luogo: per lui, al momento in cui esce da scuola, ciò che è fatto è fatto, e non vi è motivo di ritornarci sopra. Allora, molto spesso, evita bugie o rimproveri rimanendo silenzioso. La madre allora si lamenta: « Mio figlio non mi dice mai nulla su cosa fa a scuola!
». Dovrebbe invece pensare all’osservazione del dr. Ginott: i genitori non sanno parlare con i loro figli. Perché in realtà il bambino adora raccontare a sua madre, ritornando da scuola, tutte le emozioni che vi ha provato. Se non può farlo, è gravemente frustrato. A. Dits e A. ‘Gambier hanno studiato due gruppi di ragazzi. Nell’uno la madre è presente quando il figlio torna da scuola, nell’altro è assente. I due terzi dei ragazzi del secondo gruppo hanno voti inferiori alla

media. Invita a raccontare i loro sogni parlano di punizioni, di malattie, di morte. Anche i loro disegni rivelano il -disagio che costituisce pe1 un bambino la mancanza della madre quando torna da scuola.


IL
BAMBINO SI DIVERTE A RACCONTARE LE PERIPEZIE DELLA SUA « AVVENTURA» SCOLASTICA
Perché dunque rifiuta così spesso di rispondere alle sue domande quando la madre è presente? Perché le domande sono mal formulate. Quando mio figlio torna da scuola, io insisto anzitutto perché si spogli, si cambi, si lavi le mani in silenzio, per lasciarlo calmare e distendersi un po’. - Io rido, ma non rispondo se mi stuzzica con storie rocambolesche o domande fantasiose, che egli desidera porre per controbilanciare, forse, il serio ambiente scolastico. Gli preparo in fretta da mangiare poiché è affamato. Quando è rinfrescato, disteso, ed ha consumato la minestra o la merenda, gli riservo sempre un momento di attenzione esclusiva. Cosa mi racconta allora? Mai ciò che mi interesserebbe più di tùtto: i suoi successi o le sue sconfitte scolastiche, ma episodi emotivamente più ricchi:
durante la ricreazione un tale ha rifiutato di giocare con lui. Ed una tale è caduta e si è fatta male. E il suo migliore amico. è stato sgridato dalla maestra. Ed a ginnastica cosa hanno fatto... Tutta una valanga di partico’ari che si ripresentano ogni giorno con lo stesso entusiasmo. Perché per lui non si tratta di particolari. Essi rappresentano il suo apprendimento della vita di gruppo, dell’autonomia intellettuale nei confronti di altri ragazzi della stessa età. Un’avventura che non può vivere che a scuola, non a casa e che gli fa imparare a vivere vittoriosamente fin dai primi anni di scuola.
Un bambino
« forte nella composizione >, che rimane isolato durante la ricreazione e non sa farsi degli amici, ha pochissime possibilità di riuscire più tardi nella vita, nonostante tutta la cultura che avrà accumulato. Forse supererà brillantemente i suoi esami universitari, e se diviene anch’egli un insegnante, è poco probabile che sarà un insegnante convincente, efficace. Anche se i racconti che ha fatto mio figlio mi sembrano un po’ secondari, poiché altre forme di apprendimento mi interessano maggiormente, nella mia visuale di adulta, io preferisco non dire nulla.