( da: "Il nostro bambino - da zero a dodici anni")

LE CAPACITA' PRATICO - MOTORIE

 Il bambino apprende da subito,non solo appena arrivato al mondo ma già nel grembo materno.

E'nel corso del secondo anno di vita,però, che le capacità di movimento e di manipolazione si sviluppano, fornendo al bambino la possibilità di esplorare lo spazio che lo circonda. Il bambino gradualmente diventa capace di allontanarsi e di avvicinarsi a suo piacimento all’adulto, di prendere i giocattoli che preferisce, di fare i primi tentativi di mangiare da solo. I primi passi, che inizia a fare prima con l’aiuto di qualche appoggio e poi da solo, sono una tappa molto importante in quanto ampliano il suo campo esplorativo e permettono l’acquisizione di nuove esperienze e conoscenze. Il bambino è in continuo movimento per diventare padrone delle nuove abilità: lo si osserva intento ad esercitarsi in una sorta di sperimentazione personale che, attraverso una serie di tentativi e fallimenti, lo rende in grado di raggiungere una nuova capacità. Passa il tempo ad avvicinare a sé gli oggetti, a trasportarli, raccoglierli, lasciarli cadere; smonta giocattoli, svuota scatole, riempie tutti gli oggetti vuoti che capitano. Ogni conquista sul piano pratico-motorio lo fa gioire, procurando gli un senso di grandezza e aumentando la fiducia in se stesso.

 

Lo sviluppo cognitivo

Contemporaneamente si ampliano le capacità intellettive. Durante la sua continua attività il bambino non solo giunge casualmente a delle nuove scoperte, ma provoca volontariamente dei risultati nuovi. I suoi comportamenti sono finalizzati al raggiungimento di uno scopo: non si limita, per esempio, a compiere vani tentativi per raggiungere degli oggetti lontani che destano la sua curiosità, ma li avvicina a sé, tirando i supporti sui quali sono collocati. Si rende conto che esistono cause che operano indipendentemente da lui ed è in grado di ricostruire una successione temporale di avvenimenti, ricordando per esempio l’ordine degli spostamenti di un oggetto.
Con il passare dei mesi, quando si trova davanti a un problema da risolvere diventa capace di rappresentarsi mentalmente una situazione. Se per esempio ha bisogno di salire su uno sgabello per entrare in possesso di un giocattolo che non riesce a raggiungere direttamente, non trovandolo nel luogo in cui si trova, si ricorda di quello che sta nella stanza accanto e lo va a prendere per utilizzarlo.
Con la comparsa dell’intelligenza rappresentativa la realtà del bambino non è più limitata alla sua esperienza sensoriale immediata, ma si allarga poiché oggetti ed avvenimenti possono essere riprodotti mentalmente. Il bambino inizia a imitare i gesti e i movimenti compiuti dalle persone non più soltanto immediatamente dopo averli visti, ma anche dopo un intervallo di tempo più o meno lungo. Al termine del secondo anno egli sa ricostruire determinate cause in presenza dei  loro effetti, si ricorda di fatti avvenuti qualche giorno prima e anticipa quello che accadrà. Se, per esempio, vede la mamma indossare il cappotto, si avvicina alla porta e saluta con un “ciao!” gli altri membri della famiglia, aspettandosi di essere portato a passeggio.

 

Il linguaggio 

Durante il secondo anno che il bambino apprende ad usare le parole che gradualmente sostituiscono quella comunicazione extra-verbale che si instaura fra madre e figlio nel corso del primo anno, attraverso il contatto fisico, l’espressione del volto, i gesti. Già dopo i primi mesi il bambino si diverte ad emettere suoni (“tatà”, “papà” e poco dopo “mamma”) che i genitori ripetono e correggono; in seguito essi vengono riprodotti sempre più spesso e volontariamente (lallazione).
Verso gli undici-dodici mesi compaiono le prime parole, chiamate parole-frasi, che esprimono constatazioni, desideri, emozioni. Queste parole cioè non indicano un oggetto o un’azione, ma esprimono un’intera situazione per cui il loro vero significato può essere compreso solo tenendo conto del contesto in cui sono state pronunciate. Quando ad esempio il bambino dice “pappa” può voler dire “voglio la pappa” oppure “lì c’è la pappa”. Successivamente si formano le frasi a due parole e più tardi brevi frasi complete che gradualmente si arricchiscono. Il bambino mostra entusiasmo e soddisfazione nel ripetere le frasi e nel tentare di collegarle alle situazioni corrispondenti perché lo sviluppo della capacità di usare le parole lo fa sentire più simile all’adulto e lo mette più facilmente in rapporto con gli altri. Altre volte si scoraggia confrontando il suo limitato vocabolario con quello dei genitori. Vi sono delle grosse differenze individuali circa l’età in cui i bambini iniziano ad usare il linguaggio verbale: alcuni si impadroniscono presto di molti vocaboli, altri invece comunicano a lungo attraverso segnali o gesti per poi in breve tempo imparare a parlare. Se si osserva che il bambino è desideroso di conoscere le persone e le cose che lo circondano ed è in costante comunicazione con la madre, non c’è ragione di preoccuparsi se in questa fase sembra in ritardo nell’apprendimento delle parole rispetto ai suoi coetanei. A differenza delle altre capacità, tuttavia, l’acquisizione del linguaggio verbale dipende in larga misura dall’ambiente in cui vive il bambino. Fra i bambini allevati in istituti che non hanno vicino un adulto che dedichi loro attenzione, si riscontrano ritardi nella capacità di usare le parole. E quindi importante che la madre e gli altri membri della famiglia si rivolgano spesso al bambino usando semplici frasi intere pronunciate con chiarezza, incoraggiandolo a parlare e mostrando piacere a sentirlo rispondere. Può accadere che il bambino che cresce in una famiglia molto numerosa presenti qualche ritardo nell’apprendimento del linguaggio verbale perché, sebbene senta parlare molto intorno, a volte non c’è nessuno che abbia tempo sufficiente per parlargli direttamente. In questo senso il primogenito e il figlio unico si trovano avvantaggiati perché di solito possono usufruire di maggiori stimolazioni nell’usare le parole da parte dei genitori. A partire da quest’età, per aiutare il bambino a comprendere le parole e per sviluppare il suo vocabolario, è utile sfogliare insieme a lui un semplice libro illustrato. Osservare e riconoscere gli oggetti raffigurati, impararne il nome e apprendere a che cosa servono lo diverte molto, ampliando contemporaneamente la sua esperienza.

 

Il gioco e la vita emotiva
Il gioco non è solo un mezzo per conoscere il mondo esterno, ma è anche uno strumento per esprimere sentimenti e far fronte ai conflitti interni. Desideri, emozioni e paure vengono espressi nell’attività ludica che aiuta il bambino ad attenuare le ansie e a sciogliere la tensione interna. Giocando egli riproduce ciò che lo colpisce, rivivendo le esperienze che lo hanno sconvolto perché subite passivamente, diventando nel gioco padrone della situazione, dominandola ed imparando a controllare i propri impulsi. Con i giochi del cucù, già presenti in epoca precedente, e con quelli nei quali getta via e poi riprende gli oggetti il bambino cerca di far fronte all’angoscia della separazione dalla madre, rassicurandosi che le persone, sebbene si allontanino, possono ritornare. Sui giocattoli egli può sfogare sentimenti di rabbia, d’ira e di gelosia che prova verso i genitori e i fratelli, esprimendo violenti impulsi su oggetti che non sono però realmente preziosi. Lo si osserva rompere oggetti per poi in un secondo tempo cercare di ricostruirli ed aggiustarli oppure picchiare bambole e diventare subito dopo con esse affettuoso e tenero. A volte è un pupazzo particolare che viene maltrattato, mentre un altro è oggetto di attenzioni e di tenerezze. In tal modo il bambino esprime sentimenti contraddittori che sperimenta in momenti diversi, cercando di conciliarli dentro di sé ed elaborando la colpa per aver danneggiato con pensieri ostili le persone che ama, acquistando fiducia che anche nel mondo reale sia possibile la riparazione. E’ utile in questa fase permettere al bambino di divertirsi imbrattandosi con qualche cosa, spruzzando acqua, vuotando e riempiendo recipienti, usare la sabbia, la terra … Facendo “pasticci” senza controlli, si permette al bambino di esprimere la parte più infantile che non riesce a conformarsi a ciò che viene richiesto, senza correre il rischio nel gioco di deludere un genitore o se stesso. Viceversa quando apre e chiude il rubinetto dell’acqua si sente grande, immaginandosi di poter esercitare il controllo in un periodo in cui è tanto difficile per lui controllare la vescica. Favorendo il più possibile l’attività di gioco del bambino lo si aiuta, pertanto, non solo ad ampliare la sua conoscenza della realtà esterna, ma anche  a comprendere il suo mondo interiore, consentendogli via via una maggiore maturità emotiva.

Giocando si conosce il mondo, ma oltre a questo si esprimono i desideri, i sentimenti e le angosce di esperienze subite.